La norma è sotto osservazione da parte di molti altri Paesi, su tutti gli Stati Uniti. Sarà infatti un primo passo per salvare migliaia di ecosistemi, che ospitano specie a rischio in Costa d’Avorio, Ghana, Indonesia e Nigeria. Per gli ambientalisti e i produttori però non fa abbastanza per contrastare lo strapotere delle multinazionali e fornire un trattamento più equo agli agricoltori
L’Unione Europea, la maggiore importatrice di cacao, sta cercando di evitare che il consumo di cioccolato continui a essere la causa principale della distruzione di migliaia di ettari di foreste tropicali: il Parlamento di Strasburgo approverà un pacchetto di leggi per vietare l’importazione dei prodotti che distruggono o degradano le foreste, con multe per le aziende che non rispettano le regole. Tra i beni, carne bovina, legname, caffè, gomma, soia e, infine, cacao e olio di palma, ingredienti alla base del cioccolato. La norma è sotto osservazione da parte di molti altri Paesi, su tutti gli Stati Uniti. Sarà infatti un primo passo per salvare migliaia di ecosistemi, che ospitano specie a rischio in Costa d’Avorio, Ghana, Indonesia, Nigeria, Madagascar e tante altre nazioni. Per gli ambientalisti e i produttori però non fa abbastanza per contrastare lo strapotere delle multinazionali e fornire un trattamento più equo agli agricoltori.
La deforestazione è responsabile di circa il 10% delle emissioni globali di gas serra e le sue disastrose conseguenze sono state per tutto dicembre al centro della Cop15, la conferenza sulla biodiversità delle Nazioni Unite. La produzione di cioccolato ha un ruolo molto importante in questo fenomeno. Secondo Trase – un gruppo che si occupa di tracciare l’impatto delle materie prime sulla biodiversità – la Costa d’Avorio, il più grande produttore globale di cacao, nell’ultimo mezzo secolo ha perso la maggior parte delle sue foreste tropicali. Solo tra il 2000 e il 2019, 2,4 milioni di ettari sono stati disboscati per fare spazio alle nuove piantagioni. Le promesse dei singoli Stati per contrastare l’abbattimento e i roghi illegali di alberi fino ad ora non hanno funzionato. La norma europea, al vaglio del Parlamento, è solo l’ultimo sforzo per ripulire la filiera del cioccolato. Le aziende che vogliono importare e vendere nei 27 Paesi dovranno essere in grado di tracciare la provenienza di ogni singola fava di cacao e assicurarsi che nessuna foresta sia stata rasa al suolo dal 2020 per coltivarla. L’Unione Europea sta rifinendo i dettagli, ma in base alle ultime notizie, gli Stati membri dovranno effettuare controlli su almeno il 9% delle aziende che lavorano con Paesi fortemente minacciati dal disboscamento, il 3% in quelli a rischio standard e l’1% in quelli a basso rischio. Le multinazionali avranno 18 mesi per conformarsi, mentre alle imprese più piccole sarà concesso fino a un anno. Le multe, per chi non rispetta le regole, potranno arrivare fino al 4% del fatturato.
Per molti dei produttori, come Brasile, Indonesia, Colombia, Ghana e Costa d’Avorio, la nuova certificazione non funzionerà: è troppo onerosa e la catena di approvvigionamento del cacao spesso coinvolge più Stati, quindi sarà difficile da ricostruire nella sua interezza. Gli ambientalisti invece considerano la legge incompleta: per il momento l’Unione non ha esteso la protezione anche agli “altri terreni boschivi”, cioè le aree che non hanno alberi ma non sono una foresta fitta e chiusa. Valuterà la loro inclusione tra un anno e quella altri ecosistemi critici tra due anni. Nel testo poi non compare alcuna forma di tutela per le comunità indigene e per gli agricoltori, che subiscono da anni il prezzo più alto della distruzione degli ecosistemi, senza però avere un ritorno economico. Con l’aumento dei costi di trasporto, infatti i pagamenti delle aziende sono in calo da decenni. Secondo il gruppo di controllo della filiera Voice Network, appena il 5-6% del prezzo di una tavoletta di cioccolato va al coltivatore. L’aumento del reddito degli agricoltori potrebbe aiutare a contrastare l’abbattimento delle foreste, afferma un recente rapporto non profit di diverse organizzazioni come WWF e Oxfam, perché i produttori non sarebbero incentivati a produrre di più per compensare la discesa dei prezzi.
Con la nuova norma europea però, il timore è che i più ricchi, spalleggiati dalle multinazionali, riusciranno a conformarsi alla norma e a vendere a prezzi più alti, mentre gli altri, che vendono a esportatori più piccoli, rimarranno fuori dal mercato. Le multinazionali inoltre, secondo le stime dei produttori locali, hanno accumulato un numero tale di scorte di cacao, che non subiranno perdite significative anche se dovessero trascurare il mercato europeo. Mars, per esempio, intende iniziare a certificare le sue fave solo nel 2025. Il sistema di tracciamento potrà funzionare solo se altri grandi mercati seguiranno l’esempio dell’Unione Europea. Il prossimo potrebbero essere gli Stati Uniti. Già nel 2021 i democratici avevano presentato un disegno di legge simile al Congresso e ora, afferma il New York Times, guardano con attenzione ai risultati che porterà la nuova strategia di Bruxelles.